Quando iniziai a pescare con la canna da mosca, una delle maggiori difficoltà che incontravo nel conseguire delle catture era l’esecuzione di una tempestiva e opportunamente calibrata ferrata. Vedere la trota che saliva verso la superficie e bollava la mia imitazione mi lasciava letteralmente incantato, tanto che, imbambolato, perdevo spesso l’attimo in cui ferrare, consentendo al mio avversario di saggiare l’uncino metallico celato nell’insidia e di rigurgitare il boccone prima della mia tardiva reazione.
Quegli erano gli anni in cui andavano di moda le economiche canne in fibra di vetro, assai popolari nei club di quei pescatori che muovevano i primi passi nel settore della pesca con la coda di topo: attrezzi oltremodo flessuosi e pesanti, che rallentavano tutta l’azione di pesca, compresa la ferrata. Ma non solo.
L’inesperienza di quei giorni rendeva problematico anche il modo di ferrare e molti di noi non riuscivano a dosare l’energia da imprimere alla canna per conficcare l’amo nella bocca del pesce. Da qui, nell’istante in cui si riusciva ad allamare una bella trota si rischiava di spezzare il terminale, evento che accadeva con una certa frequenza quando si aveva l’ardire di innestare in punta al finale uno spezzone di monofilo piuttosto sottile, al fine di migliorare le capacità illusorie del nostro piccolo inganno piumoso: il fili di nailon dell’epoca avevano carichi di rottura assai modesti, se comparati con quelli moderni ad alta tecnologia.
La pratica, che comporta un susseguirsi di fallimenti e di successi, è il miglior modo per comprendere i nostri errori e imparare a manovrare efficacemente una canna da frusta. Frequentando abitualmente i fiumi, possiamo maturare non soltanto esperienza ma anche tanta sensibilità, intesa sia come intuitività nell’impostare le diverse strategie di pesca in funzione delle circostanze, sia come maestria, disinvoltura e appropriata delicatezza nell’impiego di ogni elemento della nostra attrezzatura. È difficile spiegare come eseguire la giusta ferrata se si è lontani dai corsi d’acqua e non si analizzano i fattori circostanziali e la tecnica di pesca che si sta adottando. La nostra reazione all’attacco del pesce deve variare in base al modo in cui stiamo affrontando il fiume, vale a dire se stiamo pescando a risalire o a scendere, così come differente dove essere il tempo di ferrata se stiamo utilizzando le ninfe, o gli streamers oppure le dry flies. Per ottenere una buona e duratura allamatura del pesce, dobbiamo consentire alla mosca di entrare completamente nella bocca del nostro avversario, così che riesca poi ad incontrare un punto solido da pungere e in cui conficcarsi quando inarchiamo la canna.
Quegli erano gli anni in cui andavano di moda le economiche canne in fibra di vetro, assai popolari nei club di quei pescatori che muovevano i primi passi nel settore della pesca con la coda di topo: attrezzi oltremodo flessuosi e pesanti, che rallentavano tutta l’azione di pesca, compresa la ferrata. Ma non solo.
L’inesperienza di quei giorni rendeva problematico anche il modo di ferrare e molti di noi non riuscivano a dosare l’energia da imprimere alla canna per conficcare l’amo nella bocca del pesce. Da qui, nell’istante in cui si riusciva ad allamare una bella trota si rischiava di spezzare il terminale, evento che accadeva con una certa frequenza quando si aveva l’ardire di innestare in punta al finale uno spezzone di monofilo piuttosto sottile, al fine di migliorare le capacità illusorie del nostro piccolo inganno piumoso: il fili di nailon dell’epoca avevano carichi di rottura assai modesti, se comparati con quelli moderni ad alta tecnologia.
La pratica, che comporta un susseguirsi di fallimenti e di successi, è il miglior modo per comprendere i nostri errori e imparare a manovrare efficacemente una canna da frusta. Frequentando abitualmente i fiumi, possiamo maturare non soltanto esperienza ma anche tanta sensibilità, intesa sia come intuitività nell’impostare le diverse strategie di pesca in funzione delle circostanze, sia come maestria, disinvoltura e appropriata delicatezza nell’impiego di ogni elemento della nostra attrezzatura. È difficile spiegare come eseguire la giusta ferrata se si è lontani dai corsi d’acqua e non si analizzano i fattori circostanziali e la tecnica di pesca che si sta adottando. La nostra reazione all’attacco del pesce deve variare in base al modo in cui stiamo affrontando il fiume, vale a dire se stiamo pescando a risalire o a scendere, così come differente dove essere il tempo di ferrata se stiamo utilizzando le ninfe, o gli streamers oppure le dry flies. Per ottenere una buona e duratura allamatura del pesce, dobbiamo consentire alla mosca di entrare completamente nella bocca del nostro avversario, così che riesca poi ad incontrare un punto solido da pungere e in cui conficcarsi quando inarchiamo la canna.
|
PRESENTAZIONI CONTROCORRENTE

Impiegando le mosche secche e pescando da valle verso monte, o perpendicolarmente al fiume, l’esecuzione di una valida ferrata è determinato dal tempismo e dalla nostra accortezza di mantenere sempre in tensione la coda di topo che è trascinata a valle dalla corrente. Se ci attardiamo a recuperare la lenza mentre la mosca compie la passata, la nostra ferrata sulla bollata rischia di avere un tempo morto, risultando “indebolita” e in ritardo. Sostanzialmente buna parte della corsa della canna servirà a mettere in tensione la coda di topo allentata e soltanto una piccola parte della nostra energia arriverà al finale e quindi all’amo. La trota, perciò, potrebbe avere il tempo di sputare l’esca, o di ricevere una leggera puntura sulle labbra, senza che l’amo riesca a conficcarvisi.
Con gli artificiali di superficie, soprattutto quando ci misuriamo con salmonidi oltremodo selettivi e sospettosi, siamo indotti ad utilizzare spesso terminali di diametro assai sottile e il rischio di spezzarli è sempre alto. Se la lenza è mantenuta ben tesa, la ferrata trascinerà immediatamente l’artificiale verso di noi e quindi l’allamatura del pesce si verifica non appena solleviamo la vetta del nostro attrezzo. Da qui, per conseguire la cattura della trota ed evitare di stuccare il tip, è sufficiente uno scatto deciso del nostro braccio, ma senza ruotarlo all’indietro disegnando in aria un arco eccessivamente ampio: in pratica, bisogna evitare di proiettare la punta della canna fin dietro la nostra schiena. Allo stesso tempo dobbiamo ricorrere ad una sorta di ABS nell’eseguire tale gesto, ammortizzando le pressioni non appena avvertiamo che la trota è stata allamata. In passato, per contenere l’esuberanza di certi pescatori particolarmente focosi nel ferrare, erano stati lanciati sul mercato dei connettori coda di topo/finale (cast connector) dotati di elastico. Sinceramente non sono mai stato un grande fautore di simili accessori, giacché compromettevano la buona distensione del finale e rendevano relativamente delicata la posa della mosca, ma sicuramente si sono rivelati di aiuto per molti principianti.
Può succedere che per pescare su acque popolate da pesci oltremodo timidi e selettivi siamo costretti ad innestare sulla coda un finale molto lungo e munito di un tip ultra sottile, al fine di rendere il più delicata e “silenziosa” possibile la posa della mosca. Se riusciamo a mantenere ben disteso sull’acqua il finale, la nostra contenuta reazione di ferrata ci permetterà di piantare l’amo nella bocca della trota, se invece siamo costretti a tenere allentato il finale, magari per contrastare eventuali fenomeni di dragaggio, dovremo sollevare la canna con più energia e facendole compiere un arco più ampio, misurando tuttavia le pressioni, vale a dire: nella fase iniziale della ferrata il movimento del nostro braccio sarà molto rapido per guadagnare il prima possibile la totale distensione e quindi la messa in tensione del finale, al contempo tireremo la lenza con la mano che non impugna la canna, mentre nell’ultimo tratto della corsa del nostro arto, quando ormai la mosca è scattata verso di noi, ridurremo progressivamente la velocità, contenendo la pressione. L’obiettivo è di far appuntare repentinamente l’amo sulle labbra del pesce e di dosare poi l’energia necessaria a farlo entrare nella carne del nostro avversario senza oltrepassare il carico di rottura del monofilo.
L’abilità nel calibrare la nostra energia nelle diverse fasi della ferrata è importante anche quando si impiegano piccolissime imitazioni, soprattutto se queste sono di tipo emergente. Un salmonide che si nutre di minuti insetti affioranti si posiziona spesso appena sotto il pelo dell’acqua e abbocca le sue prede con un leggero risucchio generato da un veloce rigonfiamento degli opercoli branchiali. La mosca entra così delicatamente e abbastanza lentamente nella bocca del salmonide e molto spesso la nostra ferrata procura un’allamatura in fil di labbra, che può rivelarsi abbastanza solida e duratura se il piccolo amo non lacera la pelle e magari si infilza in un punto cartilagineo, o meglio ancora muscolare, sufficientemente resistente. Per evitare qualunque lacerazione, è fondamentale, quindi, ferrare con decisione, ma con misurata energia, sperando che l’uncino si vada a conficcare agli angoli della bocca della trota, pungendo e agganciandosi in una solida fascia muscolare: la “forbice” dell’apparato boccale dei salmonidi è uno dei migliori punti per conseguire un’ottima allamatura.
Con gli artificiali di superficie, soprattutto quando ci misuriamo con salmonidi oltremodo selettivi e sospettosi, siamo indotti ad utilizzare spesso terminali di diametro assai sottile e il rischio di spezzarli è sempre alto. Se la lenza è mantenuta ben tesa, la ferrata trascinerà immediatamente l’artificiale verso di noi e quindi l’allamatura del pesce si verifica non appena solleviamo la vetta del nostro attrezzo. Da qui, per conseguire la cattura della trota ed evitare di stuccare il tip, è sufficiente uno scatto deciso del nostro braccio, ma senza ruotarlo all’indietro disegnando in aria un arco eccessivamente ampio: in pratica, bisogna evitare di proiettare la punta della canna fin dietro la nostra schiena. Allo stesso tempo dobbiamo ricorrere ad una sorta di ABS nell’eseguire tale gesto, ammortizzando le pressioni non appena avvertiamo che la trota è stata allamata. In passato, per contenere l’esuberanza di certi pescatori particolarmente focosi nel ferrare, erano stati lanciati sul mercato dei connettori coda di topo/finale (cast connector) dotati di elastico. Sinceramente non sono mai stato un grande fautore di simili accessori, giacché compromettevano la buona distensione del finale e rendevano relativamente delicata la posa della mosca, ma sicuramente si sono rivelati di aiuto per molti principianti.
Può succedere che per pescare su acque popolate da pesci oltremodo timidi e selettivi siamo costretti ad innestare sulla coda un finale molto lungo e munito di un tip ultra sottile, al fine di rendere il più delicata e “silenziosa” possibile la posa della mosca. Se riusciamo a mantenere ben disteso sull’acqua il finale, la nostra contenuta reazione di ferrata ci permetterà di piantare l’amo nella bocca della trota, se invece siamo costretti a tenere allentato il finale, magari per contrastare eventuali fenomeni di dragaggio, dovremo sollevare la canna con più energia e facendole compiere un arco più ampio, misurando tuttavia le pressioni, vale a dire: nella fase iniziale della ferrata il movimento del nostro braccio sarà molto rapido per guadagnare il prima possibile la totale distensione e quindi la messa in tensione del finale, al contempo tireremo la lenza con la mano che non impugna la canna, mentre nell’ultimo tratto della corsa del nostro arto, quando ormai la mosca è scattata verso di noi, ridurremo progressivamente la velocità, contenendo la pressione. L’obiettivo è di far appuntare repentinamente l’amo sulle labbra del pesce e di dosare poi l’energia necessaria a farlo entrare nella carne del nostro avversario senza oltrepassare il carico di rottura del monofilo.
L’abilità nel calibrare la nostra energia nelle diverse fasi della ferrata è importante anche quando si impiegano piccolissime imitazioni, soprattutto se queste sono di tipo emergente. Un salmonide che si nutre di minuti insetti affioranti si posiziona spesso appena sotto il pelo dell’acqua e abbocca le sue prede con un leggero risucchio generato da un veloce rigonfiamento degli opercoli branchiali. La mosca entra così delicatamente e abbastanza lentamente nella bocca del salmonide e molto spesso la nostra ferrata procura un’allamatura in fil di labbra, che può rivelarsi abbastanza solida e duratura se il piccolo amo non lacera la pelle e magari si infilza in un punto cartilagineo, o meglio ancora muscolare, sufficientemente resistente. Per evitare qualunque lacerazione, è fondamentale, quindi, ferrare con decisione, ma con misurata energia, sperando che l’uncino si vada a conficcare agli angoli della bocca della trota, pungendo e agganciandosi in una solida fascia muscolare: la “forbice” dell’apparato boccale dei salmonidi è uno dei migliori punti per conseguire un’ottima allamatura.
_ Gli esiti del recupero di un salmonide vigoroso dipendono dal modo in cui l'amo si è conficcato nella sua bocca
|
Nella pesca a streamer è importante mantenere tesa la coda di topo anche nelle pause durante il recupero, così da riuscire ad avvertire qualunque vibrazione rivelatrice dell’abboccata
La bollata è un evento magico che incanta il pescatore e lo obbliga ad una tempestiva reazione per agganciare il suo avversario
|
MOSCHE A VALLE

Quando offriamo le nostra insidia al pesce, sia questa
una mosca secca, una wet fly o una ninfa, presentandola da monte verso
valle, è importante tenere a mente che la lenza e il finale
risulteranno quasi sempre ben distesi e qualunque nostra reazione sarà
trasmessa immediatamente all’artificiale. Scorgendo la bollata o
avvertendo la mangiata di un salmonide, possiamo essere indotti a
rispondere in maniera fulminea sollevando d’istinto la canna, così facendo rischiamo di sfilare dalle labbra del nostro avversario la mosca
prima ancora che questa sia entrata effettivamente nella sua bocca. Ciò
può comportare una precaria allamatura, oppure una “pizzicata”
al pesce. Gli appassionati di pesca con gli artificiali sommersi
conoscono bene questo problema e per incrementare le loro catture
adottano una tecnica di ferrata che potremmo definire del “prima dare e
poi tirare”. In sostanza bisogna far ingoiare per un attimo l’esca al
salmonide e solo allora tendere la coda di topo per riuscire ad
allamarlo. All’atto pratico, questo sistema di ferrata consiste
nell’abbassare repentinamente la canna non appena si verifica la
bollata o sentiamo la vibrazione della “toccata” della trota: ciò farà
sì che il pesce non incontri alcuna resistenza da parte dell’insidia
mentre la introduce nella sua gola; la corrente del fiume, inoltre,
contribuirà al facile ingoio della mosca. Subito dopo, e parliamo di
frazioni di secondo, eseguiremo la ferrata inarcando la vetta del
nostro attrezzo, evitando anche in questo caso gesti spropositatamente
violenti. Per acquisire una certa dimestichezza nell’esecuzione di
questa tecnica è necessaria tanta pratica e una certa dose di
autocontrollo. Il principiante, infatti, è indotto dall’emozione a
reagire d’impeto, mentre deve imparare a dominare il suo istinto,
sforzandosi prima a “dare” invece di “tirare” immediatamente.
Pescando a vista con le ninfe, l’esecuzione di una giusta ferrata può risultare piuttosto complicata, in quanto spesso bisogna interpretare il comportamento della trota per stabilire quando ha effettivamente introdotto la mosca nella propria bocca. Per molti novizi, i concetto di pesca a vista con le imitazioni di profondità significa mantenere un costante contatto visivo con l’insidia che procede verso il pesce e ferrare non appena la vediamo scomparire tra le fauci di questo. In qualche caso, ciò corrisponde a realtà, ma nella maggior parte delle circostanze la ninfa risulta del tutto invisibile in acqua, soprattutto se è di minute dimensioni e costruita con materiali dalle sobrie colorazioni. Chi va mantenuto costantemente sott’occhio è il pesce e stabilire dai sui scarti o anomali movimenti se ha intercettato l’esca e se l’ha afferrata con le labbra. Un improvviso irrigidimento delle pinne, o il rigonfiamento degli opercoli branchiali, o uno scatto di lato seguito dall’apertura della bocca possono essere chiari rivelatori dell’abboccata del salmonide e la nostra reazione deve essere fulmine a decisa, altrimenti la trota ha tutto il tempo per avvertire la metallica consistenza dell’amo e sputare in una frazione di secondo il boccone. Anche con le ninfe suggerisco di non ferrare mai con troppa energia. Se “padelliamo” il pesce senza impaurirlo, magari perché ci siamo attardati a ferrare oppure perché la mosca non è stata effettivamente abboccata, possiamo avere una seconda chance e magari conseguire la cattura cambiando l’esca o realizzando una presentazione migliore. La miglior tattica che possiamo attuare per agganciare il nostro avversario è di mantenere sempre il leggera tensione la lenza, così che qualunque sollevamento della canna produca il repentino scatto dell’artificiale e quindi l’immediata “puntura” del pesce che ha addentato l’imitazione.
Pescando a vista con le ninfe, l’esecuzione di una giusta ferrata può risultare piuttosto complicata, in quanto spesso bisogna interpretare il comportamento della trota per stabilire quando ha effettivamente introdotto la mosca nella propria bocca. Per molti novizi, i concetto di pesca a vista con le imitazioni di profondità significa mantenere un costante contatto visivo con l’insidia che procede verso il pesce e ferrare non appena la vediamo scomparire tra le fauci di questo. In qualche caso, ciò corrisponde a realtà, ma nella maggior parte delle circostanze la ninfa risulta del tutto invisibile in acqua, soprattutto se è di minute dimensioni e costruita con materiali dalle sobrie colorazioni. Chi va mantenuto costantemente sott’occhio è il pesce e stabilire dai sui scarti o anomali movimenti se ha intercettato l’esca e se l’ha afferrata con le labbra. Un improvviso irrigidimento delle pinne, o il rigonfiamento degli opercoli branchiali, o uno scatto di lato seguito dall’apertura della bocca possono essere chiari rivelatori dell’abboccata del salmonide e la nostra reazione deve essere fulmine a decisa, altrimenti la trota ha tutto il tempo per avvertire la metallica consistenza dell’amo e sputare in una frazione di secondo il boccone. Anche con le ninfe suggerisco di non ferrare mai con troppa energia. Se “padelliamo” il pesce senza impaurirlo, magari perché ci siamo attardati a ferrare oppure perché la mosca non è stata effettivamente abboccata, possiamo avere una seconda chance e magari conseguire la cattura cambiando l’esca o realizzando una presentazione migliore. La miglior tattica che possiamo attuare per agganciare il nostro avversario è di mantenere sempre il leggera tensione la lenza, così che qualunque sollevamento della canna produca il repentino scatto dell’artificiale e quindi l’immediata “puntura” del pesce che ha addentato l’imitazione.
STREAMERS RALLENTATI E STREAMERS DA CORSA

Molta della pesca a streamer esercitata nelle acque del
nostro Paese avviene sui laghetti sportivi ripopolati con trote iridee e con
questi pesci le esche vanno presentate a diverse profondità e velocità, al fine
di individuare le zone di transito e di pastura dei salmonidi. Sui reservoirs
destinati alla sola pesca con le esche artificiali, specialmente su quelli in
cui si propone la pratica del “catch and release”, le trote spesso sviluppano
una certa riluttanza ad inseguire e azzannare tutte quelle esche che nuotano
veloci, perché le identificano come bocconi insidiosi e pungenti, mentre possono
sferrare un attacco se l’artificiale transita lentamente davanti al loro muso,
in quanto appare oltremodo vulnerabile. Talvolta, ali iridee afferrano in bocca
lo streamer e continuano a nuotare in direzione del pescatore, impedendo a
questo di avvertire il loro attacco e quindi di ferrare prontamente. Impostando
una strategia di pesca a streamer all’insegna della lentezza, è consigliabile
imprimere di tanto in tanto una brusca accelerazione alla mosca con uno strappo
secco della lenza, il cui fine non è tanto quello di stimolare all’attacco una
trota dal fare incerto, quanto di permettere all’amo di conficcarsi nelle labbra
del pesce se questo ha “silenziosamente” abboccato e seguita a procedere verso
di noi.
Quando si impiegano streamers con tecniche di pesca particolarmente dinamiche, vale a dire che richiedono recuperi piuttosto veloci, il pesce solitamente si auto-allama nel momento in cui azzanna l’artificiale e il pescatore si ritrova così in pieno combattimento senza avere eseguito una vera e propria ferrata. Questa eventualità si verifica spesso sui laghetti sportivi in cui soggiornano iridee dal comportamento esuberante, ma anche nella pesca di altri pesci, quali i lucci, i black bass e le spigole. Per far sì che l’amo penetri completamente nella bocca del pesce, soprattutto quando adopriamo mosche montate su uncini di buona misura, è bene imprimere una certa trazione alla lenza non appena avvertiamo il pesce in canna: ciò può esser fatto flettendo la vetta del nostro attrezzo, oppure tirando bruscamente la coda di topo con la mano che effettua il recupero. Nella pesca alla spigola, disciplina cui dedico molto del mio tempo libero nella stagione invernale, effettuo la ferrata inarcando all’indietro le spalle mentre traggo contro il petto la canna e al contempo assesto uno strattone alla coda con la mano sinistra. Adotto questa tecnica perché è quella che mi permette la reazione più rapida ed efficace mentre recupero lo streamer pescando col mare mosso: per fronteggiare i cavalloni, cerco di mantenere in acqua una posizione del corpo stabile e “raggruppata”, col mulinello e il calcio della canna che premono sullo sterno, ed evito di sbracciarmi per ferrare cosi da non perdere mai la mia postura di equilibrio.
Quando si impiegano streamers con tecniche di pesca particolarmente dinamiche, vale a dire che richiedono recuperi piuttosto veloci, il pesce solitamente si auto-allama nel momento in cui azzanna l’artificiale e il pescatore si ritrova così in pieno combattimento senza avere eseguito una vera e propria ferrata. Questa eventualità si verifica spesso sui laghetti sportivi in cui soggiornano iridee dal comportamento esuberante, ma anche nella pesca di altri pesci, quali i lucci, i black bass e le spigole. Per far sì che l’amo penetri completamente nella bocca del pesce, soprattutto quando adopriamo mosche montate su uncini di buona misura, è bene imprimere una certa trazione alla lenza non appena avvertiamo il pesce in canna: ciò può esser fatto flettendo la vetta del nostro attrezzo, oppure tirando bruscamente la coda di topo con la mano che effettua il recupero. Nella pesca alla spigola, disciplina cui dedico molto del mio tempo libero nella stagione invernale, effettuo la ferrata inarcando all’indietro le spalle mentre traggo contro il petto la canna e al contempo assesto uno strattone alla coda con la mano sinistra. Adotto questa tecnica perché è quella che mi permette la reazione più rapida ed efficace mentre recupero lo streamer pescando col mare mosso: per fronteggiare i cavalloni, cerco di mantenere in acqua una posizione del corpo stabile e “raggruppata”, col mulinello e il calcio della canna che premono sullo sterno, ed evito di sbracciarmi per ferrare cosi da non perdere mai la mia postura di equilibrio.
I minuti emergers sono spesso abboccati con estrema delicatezza: mai ferrare con troppo impeto, perché il piccolo amo rischierebbe di lacerare le labbra del pesce, invece di conficcarvisi
|
Chi approda al mondo della mosca deve apprendere un gran numero di nozioni sui propri attrezzi, imparando a dosare forza e delicatezza
nell’esecuzione dei lanci, ma anche nelle successive fasi di ferrata e di
combattimento coi pesci
|