|
|
Indipendentemente dalla tecnica di pesca da noi adottata, ritengo che la cattura di un pesce da sogno, ossia pregiato, selvatico e soprattutto molto grande, sia l’obiettivo principale per tanti di noi e motivo dalla continua ricerca di nuovi sistemi ed esche per conseguirlo. Se si ha poi la fortuna di raggiungere simile traguardo vivendo un’esperienza in cui tutto sembra perfetto, vale a dire bellezza del fiume, grande intuizione nell’identificazione del pesce, impostazione di un’eccellente strategia di pesca e molta abilità nello svolgere le fasi del combattimento, ciò ci appaga con un senso di esaltazione e soddisfazione che difficilmente dimenticheremo nella nostra vita.
Nel corso della carriera di un pescatore con la mosca appassionato di trote credo che siano davvero poche le occasioni in cui realizzare la “Cattura Perfetta”, se non altro perché salmonidi selvatici di grosse dimensioni sono rarissimi in molti fiumi a pesca libera. Eppure simile miracolo può accadere e la storia che sto per raccontare lo conferma.
Avevo raggiunto il Nera attorno alle sei del pomeriggio e la luminosità della giornata e il caldo opprimente mi suggerivano di attendere ancora qualche minuto prima di indossare gli waders e cominciare a lanciare. Alle sei e mezza ero comunque immerso in acqua, pescando in “caccia” con la speranza di far bollare qualche ingenuo salmonide. Sapevo che affrontando con calma quel primo tratto di fiume avrei raggiunto la zona che ritenevo migliore un’ora prima che facesse notte, quando sicuramente la maggior parte delle trote sarebbe stata in attività in superficie. Di fatto, verso le sette e mezza ero impegnato a insidiare una serie di fario su due buche con acqua piatta, allamandone e perdendone due di oltre trenta centimetri: pesci di tutto rispetto per quella parte di Nera lontana dalla riserva “no kill”.
Nel corso della carriera di un pescatore con la mosca appassionato di trote credo che siano davvero poche le occasioni in cui realizzare la “Cattura Perfetta”, se non altro perché salmonidi selvatici di grosse dimensioni sono rarissimi in molti fiumi a pesca libera. Eppure simile miracolo può accadere e la storia che sto per raccontare lo conferma.
Avevo raggiunto il Nera attorno alle sei del pomeriggio e la luminosità della giornata e il caldo opprimente mi suggerivano di attendere ancora qualche minuto prima di indossare gli waders e cominciare a lanciare. Alle sei e mezza ero comunque immerso in acqua, pescando in “caccia” con la speranza di far bollare qualche ingenuo salmonide. Sapevo che affrontando con calma quel primo tratto di fiume avrei raggiunto la zona che ritenevo migliore un’ora prima che facesse notte, quando sicuramente la maggior parte delle trote sarebbe stata in attività in superficie. Di fatto, verso le sette e mezza ero impegnato a insidiare una serie di fario su due buche con acqua piatta, allamandone e perdendone due di oltre trenta centimetri: pesci di tutto rispetto per quella parte di Nera lontana dalla riserva “no kill”.
"GROPPATE" AL CREPUSCOLO

Cominciava a far tardi e sinceramente ero alquanto scettico se continuare a risalire ulteriormente il fiume. Pesci a valle ne avevo visti pochi, quindi ritenni poco assennato “innescare” una grossa sedge per pescare a scendere, facendo zompettare l’esca sulle correntine che avevo poco prima ispezionato. Decisi di spingermi ancora poco più a monte, tagliando poi per la strada provinciale a notte fatta per tornare comodamente alla macchina. Superato un lungo raschio, avanzando fuori dall’acqua, vidi in lontananza due bollate lungo il sottoriva di una piccola buca sovrastata dagli alberi. Uno dei ribollii era avvenuto con un grande spostamento d’acqua in superficie, ma senza violenza: una "groppata" presumibilmente prodotta da un animale di grossa mole. In effetti la trota era davvero grande, posizionata tre o quattro centimetri sotto il pelo dell’acqua e intenta a mangiare insetti pronti a emergere con movimenti lenti e misurati, facendo affiorare di tanto in tanto il suo massiccio muso. Un vero spettacolo e tutto ciò si svolgeva a circa una dozzina di metri dalla postazione che avevo raggiunto per impostare la mia strategia.
I primi lanci li esegui con la piccola Olive Emerger del 16 con cui avevo allamato le trote a valle, mantenendo il monofilo dello 0,14 sulla punta del finale. La grossa fario, tuttavia, non mostrò il benché minimo interesse per la mia insidia, nonostante fossi riuscito a farla passare un paio di volte sopra la sua testa. Ciò mi lasciò perplesso, perché la trota bollava con notevole frequenza. Pensai allora che il problema fosse nel modo di stare in superficie della mosca, praticamente troppo fuori dell’acqua, poiché il pesce, pur bollando, azzannava invisibili animaletti che dovevano trovarsi al di sotto del punto di affioramento; ritenni anche che l’amo fosse un po’ troppo grande. Decisi quindi di applicare al terminale una Opossum Emerger su amo del 18, consapevole che con un uncino così piccolo avrei rischiato di conseguire una precaria allamatura.
Ricominciai a eseguire i lanci, cercando di angolarli leggermente o di ribaltarli per far passare la mosca prima del finale sopra la zona di attacco della fario. La trota, però, appariva davvero furba, giacché continuava a disdegnare la mia esca.
Stava diventando tardi e avevo paura che l’attività degli insetti cessasse e che il mio avversario, ormai sazio, decidesse di rinchiudersi in “casa”. Optai perciò per un sistema estremo: montai sul finale un terminale dello 0,12 e vi applicai una piccolissima Pupa di Chironomo Nera. Onestamente non ero molto convinto delle mie scelte: con un filo così sottile avrei avuto ben poche possibilità di issare a terra quel salmonide, che valutai lungo circa quarantacinque centimetri. La mosca, inoltre, non mi sembrava appropriata, perché non avevo notato chironomi sull’acqua, mentre avevo visto molte piccole effimere chiare emergere nei tratti di fiume con la superficie increspata. Ciò che accadde subito dopo fu sconcertante, la trota non solo ignorò la mosca, ma a un certo punto si allontanò dalla sua postazione, quasi fosse stata spaventata, dirigendosi a valle e fermandosi circa cinque o sei metri da me, sprofondando nelle stretta depressione sul fondale alla mia sinistra e sparendo così alla mia vista. Ero davvero sconfortato, supponevo che il pesce mi avesse scorto e che non sarebbe più uscito dal suo rifugio: la mia occasione era ormai svanita. Trattenni il respiro ed evitai di compiere il benché minimo movimento; quindi aspettai, sperando che il mio avversario non si fosse impaurito e che, ingordo, decidesse di tornare alla sua zona di caccia. Così avvenne. Il salmonide, pigramente, riemerse dal suo momentaneo nascondiglio, tornò ad occupare la sua precedente postazione di caccia e ricominciò a bollare.
I primi lanci li esegui con la piccola Olive Emerger del 16 con cui avevo allamato le trote a valle, mantenendo il monofilo dello 0,14 sulla punta del finale. La grossa fario, tuttavia, non mostrò il benché minimo interesse per la mia insidia, nonostante fossi riuscito a farla passare un paio di volte sopra la sua testa. Ciò mi lasciò perplesso, perché la trota bollava con notevole frequenza. Pensai allora che il problema fosse nel modo di stare in superficie della mosca, praticamente troppo fuori dell’acqua, poiché il pesce, pur bollando, azzannava invisibili animaletti che dovevano trovarsi al di sotto del punto di affioramento; ritenni anche che l’amo fosse un po’ troppo grande. Decisi quindi di applicare al terminale una Opossum Emerger su amo del 18, consapevole che con un uncino così piccolo avrei rischiato di conseguire una precaria allamatura.
Ricominciai a eseguire i lanci, cercando di angolarli leggermente o di ribaltarli per far passare la mosca prima del finale sopra la zona di attacco della fario. La trota, però, appariva davvero furba, giacché continuava a disdegnare la mia esca.
Stava diventando tardi e avevo paura che l’attività degli insetti cessasse e che il mio avversario, ormai sazio, decidesse di rinchiudersi in “casa”. Optai perciò per un sistema estremo: montai sul finale un terminale dello 0,12 e vi applicai una piccolissima Pupa di Chironomo Nera. Onestamente non ero molto convinto delle mie scelte: con un filo così sottile avrei avuto ben poche possibilità di issare a terra quel salmonide, che valutai lungo circa quarantacinque centimetri. La mosca, inoltre, non mi sembrava appropriata, perché non avevo notato chironomi sull’acqua, mentre avevo visto molte piccole effimere chiare emergere nei tratti di fiume con la superficie increspata. Ciò che accadde subito dopo fu sconcertante, la trota non solo ignorò la mosca, ma a un certo punto si allontanò dalla sua postazione, quasi fosse stata spaventata, dirigendosi a valle e fermandosi circa cinque o sei metri da me, sprofondando nelle stretta depressione sul fondale alla mia sinistra e sparendo così alla mia vista. Ero davvero sconfortato, supponevo che il pesce mi avesse scorto e che non sarebbe più uscito dal suo rifugio: la mia occasione era ormai svanita. Trattenni il respiro ed evitai di compiere il benché minimo movimento; quindi aspettai, sperando che il mio avversario non si fosse impaurito e che, ingordo, decidesse di tornare alla sua zona di caccia. Così avvenne. Il salmonide, pigramente, riemerse dal suo momentaneo nascondiglio, tornò ad occupare la sua precedente postazione di caccia e ricominciò a bollare.
UNA NINFA EMERGENTE PER UN PESCE SCALTRO E SELETTIVO

Aprii nuovamente la mia scatola porta mosche, questa volta quella delle ninfe, ed estrassi una P. L. Brown Emerger, sperando di scorgere l’abboccata qualora la trota avesse azzannato l’insidia scesa in profondità. Durante i primi due passaggi l’artificiale, troppo asciutto, navigò in superficie; al terzo lancio la mosca affondò leggermente, raggiunse la zona di attacco della fario e fu addentata con estrema delicatezza: il pesce la intercettò sotto il pelo dell’acqua provocando un piccolo ribollio in superficie, permettendomi di constatare l’avvenuta abboccata. Ferrai con misurata energia: non ero sicuro della mangiata e non volevo provocare rumore con una reazione troppo violenta. Il pesce si irrigidì, mosse con forza il muso da un lato e dall’altro e poi scodò fuori dell’acqua e io capii che le sue dimensioni erano ben al di sopra di quarantacinque centimetri. Quindi, con fare deciso ma lento, si diresse a sinistra per guadagnare il fondo della buca laterale e infilarsi nell’intrigo di radici e rami sommersi dei salici. Ero certo che avrei perso quella trota, quindi aumentai la pressione sulla canna, arrivando al limite del carico di rottura del monofilo. Ciò ridusse momentaneamente la corsa del mio avversario, consentendomi di guadagnare per qualche secondo il controllo della situazione. Mi spostai il più possibile verso la sponda sinistra tenendo la canna puntata verso la riva opposta e cercai di frappormi tra la buca e il pesce per spaventarlo e farlo allontanare dalla zona del suo rifugio. Lo stratagemma funzionò e la fario si sposto sull’acqua bassa lungo il margine destro del fiume. Tuttavia, incapace di trovare un nascondiglio, la trota ripartì alla volta della buca, lasciandomi intuire che se l’avessi troppo forzata avrei spezzato il terminale. Abbassai allora la vetta della canna per diminuire la pressione sulla lenza, cercando di persuadere la fario, sotto la spinta della corrente, a dirigersi a valle: la speranza era di allontanarla dalle ramaglie nella buca. Il raschio poco sotto di me aiutò il pesce a prendere velocità, obbligandomi a rincorrerlo fino a quando lo vidi saltare completamente fuori dell’acqua. La fario ruotò su se stessa in aria, compiendo un balzo di oltre mezzo metro, per ricadere violentemente sul fiume. Ero certo di aver rotto tutto, o comunque che la trota si fosse slamata; ma la tensione della lenza mi rivelò che il combattimento non era ancora finito.
|
IL PESCE DEI SOGNI

Continuai la mia discesa a valle fino a quando non mi fermai al lato di una grossa buca priva di ostacoli sommersi e aerei: lì potevo stancare la trota e tentare di issarla a riva, sperando comunque in un miracolo, visto che le sponde erano alte e coperte di cespugli, risultando pertanto impraticabili. Il pesce cominciava a essere stanco, limitando le sue puntate e compiendo giri concentrici sempre più stretti: era pronto per essere salpato. Non avevo il guadino, è un utensile che non fa parte del mio equipaggiamento, e mi appariva oltremodo difficoltoso afferrare con la mano sinistra il salmonide per trarlo a riva: operazione che avevo tentato di effettuare sul raschio poco più a monte, provocando spavento e la violenta reazione di fuga del mio avversario. L'unica soluzione era quella di portare la trota il più vicino possibile alla riva, tenerla con la punta del muso fuori dell’acqua, metterle la mano sinistra sotto la pancia e lanciarla come un sasso sulla sponda alle mie spalle. Una soluzione forse poco ortodossa, ma che attuandola funzionò alla perfezione. Mi ritrovai così come un avvoltoio sulla mia preda, una splendida fario, presumibilmente selvatica, di cinquantacinque centimetri e del peso di un chilo e settecento grammi, uno dei pesci più belli della mia esperienza di pescatore con la mosca: una Cattura Perfetta.
La Pupa di Chironomo Nera riesce a rappresentare piuttosto verosimilmente le pupe nerastre di molte specie di “zanazarine”, generalmente si rivela un’eccellente mosca per insidiare le trote che mangiano “piccolo”
La P. L. Brown Emerger è una mosca specifica per la pesca durante la schiusa di piccole effimere dai colori bruni, ottima se presentata appena sotto la superficie
|
Una buona conoscenza degli invertebrati che popolano un determinato corso d’acqua ci aiuta a selezionare la mosca più appropriata per impostare la nostra strategia di pesca
Nei fiumi ricchi di specie diverse di efemerotteri, i salmonidi possono assumere comportamenti alimentari molto specializzati, abboccando esclusivamente un particolare insetto che si trova ad un ben definito stadio di vita
|