Il processo evolutivo della pesca a mosca in Italia è stato influenzato da un’incredibile moltitudine di paradossali dogmi e assurde convinzioni difficilmente riscontrabili in altri paesi. Negli anni varie sono state le correnti di pensiero che hanno invitato il crescente esercito di moschisti a inquadrare il proprio sport attraverso ottiche differenti, mirando ad esaltare, ad esempio, i “vantaggi” o il piacere di adoprare attrezzature leggere, magari solo per estremizzare al massimo le tecniche di lancio, oppure enfatizzando la “purezza” di coloro che utilizzavano esclusivamente le imitazioni di superficie: per molti appassionati questi sono unici artificiali degni di essere “innescati” sul terminale di una canna da mosca. In molte occasioni questi estremisti della mosca manifestavano una palese avversione verso qualunque insidia di tipo sommerso (wet flies, ninfe o streamers che siano), giudicandola poco divertente e comunque affine alla pesca al tocco esercitata con le esche naturali.
Oggigiorno questi punti di vista, o meglio questi modi di pensare, appaiono sempre più anacronistici. I moderni moschisti, disponendo di una vasta fonte di documentazione, costituita da una buona letteratura specializzata, tendono a valutare prevalentemente il mondo della coda di topo nella sua globalità, facendo tesoro di quanto leggono o di ciò che gli viene suggerito dai vari esperti, ma testando in prima persona qualunque teoria per verificarne la validità.
Questo concetto di affrontare i fiumi con una mentalità aperta e incline all’esperimento ha indotto sempre più moschisti ad avvicinarsi al settore delle insidie affondanti, spinti in parte dalla curiosità, ma anche dalle concrete opportunità di far belle catture. Tuttavia l’uso degli artificiali sommersi non si riduce a un pratico espediente per prendere pesci, se non altro perché il loro impiego non risulta così semplice. La pesca con questo genere di mosche impone al pescatore una notevole conoscenza degli ambienti acquatici e dei comportamenti dei pesci, oltre a una discreta padronanza degli attrezzi e delle esche che vanno utilizzati nelle differenti circostanze. Tendo a mettere in evidenza, inoltre, che molte tecniche di pesca con gli artificiali di profondità sono davvero divertenti e appaganti e consentono spesso uno stretto contatto con il pesce. Basti pensare, ad esempio, alla pesca a vista con la ninfa, nella quale gli interessi alimentari della trota o del temolo, la scelta dell’insidia e il modo di presentarla vanno stabiliti interpretando i comportamenti del nostro avversario. Ma non solo. Tanti cultori della canna da frusta definiscono la mangiata del pesce su bollata uno degli aspetti più divertenti del proprio hobby e il motivo per cui questa disciplina alieutica risulti la più affascinante. Personalmente non condivido appieno questa asserzione: negli anni mi sono dedicato con maggiore costanza alle tecniche con le imitazioni affondanti e nel mio bagaglio dei ricordi ho accumulato esperienze decisamente emozionanti adoprando proprio tali esche, rappresentate non di rado dalla “sfida” a breve distanza con trote di notevole taglia. Allo stesso modo, ricorrendo alle tradizionali wet flies, montate su un finale a braccioli in numero di due o tre e presentate in acqua facendole derivare con la corrente, pescando a scendere, ho imparato ad apprezzare il gusto della “pizzicata” trasmessa alla vetta della canna dal pesce che abbocca. Una sensazione forse simile a quella che provavo in passato quando immergevo nelle acque turbolente di un torrente o di un fiume di mezza montagna un verme o una camola innescati su una lenza per la canna bolognese. Il piacere di avvertire quella vibrazione è sempre stato motivo di bei ricordi e non ho mai capito perchè tanti pescatori di vecchia guardia, approdando al pianeta mosca, abbiano cominciato a condannare qualsiasi forma di pesca che non fosse con la coda di topo e in particolare proprio quella al tocco.
La prima volta che vidi un moschista manovrare con perizia una canna da frusta armata di un “treno” di wet flies ero sul fiume Blackwater, in Irlanda. Quel simpatico pescatore mi spiegò che su corsi d'acqua così ampi e in tutte le circostanze in cui i pesci non rivelavano le loro postazioni di caccia bollando, la migliore strategia per conseguire qualche bella cattura era di servirsi proprio delle mosche sommerse, montandole in serie su un finale di medio/corta lunghezza innestato a una coda di topo affondante. Quel sistema offriva il vantaggio di coprire maggiori porzioni di fiume con un numero limitato di passaggi della lenza in acqua e incrementando le probabilità di intercettare una trota disposta ad abboccare.
Le insidie da lui adoprate erano per lo più dai colori sobri e dall’aspetto abbastanza simile a quello degli invertebrati presenti nel fiume. Talvolta, però, legava al finale un artificiale di fantasia ricco di luccicanti tinsel e variopinti piumaggi, ritenendo che potesse allettare i pesci fomentando la loro aggresività o curiosità. Tra le esche appartenenti a questa seconda categoria, la Teal Blue & Silver fu quella che mi venne indicata come un modello particolarmente valido per la pesca in giornate molto luminose, ottimo per insidiare le fario, ma altrettanto buono per indurre all'attacco le trote di mare, specie se usato al crepuscolo.
Da allora questa mosca ha giocato un ruolo abbastanza importante nelle mie uscite di pesca, tanto da diventare assieme alla Black Pennell uno dei miei artificiali preferiti per la pesca con la sommersa.
Oggigiorno questi punti di vista, o meglio questi modi di pensare, appaiono sempre più anacronistici. I moderni moschisti, disponendo di una vasta fonte di documentazione, costituita da una buona letteratura specializzata, tendono a valutare prevalentemente il mondo della coda di topo nella sua globalità, facendo tesoro di quanto leggono o di ciò che gli viene suggerito dai vari esperti, ma testando in prima persona qualunque teoria per verificarne la validità.
Questo concetto di affrontare i fiumi con una mentalità aperta e incline all’esperimento ha indotto sempre più moschisti ad avvicinarsi al settore delle insidie affondanti, spinti in parte dalla curiosità, ma anche dalle concrete opportunità di far belle catture. Tuttavia l’uso degli artificiali sommersi non si riduce a un pratico espediente per prendere pesci, se non altro perché il loro impiego non risulta così semplice. La pesca con questo genere di mosche impone al pescatore una notevole conoscenza degli ambienti acquatici e dei comportamenti dei pesci, oltre a una discreta padronanza degli attrezzi e delle esche che vanno utilizzati nelle differenti circostanze. Tendo a mettere in evidenza, inoltre, che molte tecniche di pesca con gli artificiali di profondità sono davvero divertenti e appaganti e consentono spesso uno stretto contatto con il pesce. Basti pensare, ad esempio, alla pesca a vista con la ninfa, nella quale gli interessi alimentari della trota o del temolo, la scelta dell’insidia e il modo di presentarla vanno stabiliti interpretando i comportamenti del nostro avversario. Ma non solo. Tanti cultori della canna da frusta definiscono la mangiata del pesce su bollata uno degli aspetti più divertenti del proprio hobby e il motivo per cui questa disciplina alieutica risulti la più affascinante. Personalmente non condivido appieno questa asserzione: negli anni mi sono dedicato con maggiore costanza alle tecniche con le imitazioni affondanti e nel mio bagaglio dei ricordi ho accumulato esperienze decisamente emozionanti adoprando proprio tali esche, rappresentate non di rado dalla “sfida” a breve distanza con trote di notevole taglia. Allo stesso modo, ricorrendo alle tradizionali wet flies, montate su un finale a braccioli in numero di due o tre e presentate in acqua facendole derivare con la corrente, pescando a scendere, ho imparato ad apprezzare il gusto della “pizzicata” trasmessa alla vetta della canna dal pesce che abbocca. Una sensazione forse simile a quella che provavo in passato quando immergevo nelle acque turbolente di un torrente o di un fiume di mezza montagna un verme o una camola innescati su una lenza per la canna bolognese. Il piacere di avvertire quella vibrazione è sempre stato motivo di bei ricordi e non ho mai capito perchè tanti pescatori di vecchia guardia, approdando al pianeta mosca, abbiano cominciato a condannare qualsiasi forma di pesca che non fosse con la coda di topo e in particolare proprio quella al tocco.
La prima volta che vidi un moschista manovrare con perizia una canna da frusta armata di un “treno” di wet flies ero sul fiume Blackwater, in Irlanda. Quel simpatico pescatore mi spiegò che su corsi d'acqua così ampi e in tutte le circostanze in cui i pesci non rivelavano le loro postazioni di caccia bollando, la migliore strategia per conseguire qualche bella cattura era di servirsi proprio delle mosche sommerse, montandole in serie su un finale di medio/corta lunghezza innestato a una coda di topo affondante. Quel sistema offriva il vantaggio di coprire maggiori porzioni di fiume con un numero limitato di passaggi della lenza in acqua e incrementando le probabilità di intercettare una trota disposta ad abboccare.
Le insidie da lui adoprate erano per lo più dai colori sobri e dall’aspetto abbastanza simile a quello degli invertebrati presenti nel fiume. Talvolta, però, legava al finale un artificiale di fantasia ricco di luccicanti tinsel e variopinti piumaggi, ritenendo che potesse allettare i pesci fomentando la loro aggresività o curiosità. Tra le esche appartenenti a questa seconda categoria, la Teal Blue & Silver fu quella che mi venne indicata come un modello particolarmente valido per la pesca in giornate molto luminose, ottimo per insidiare le fario, ma altrettanto buono per indurre all'attacco le trote di mare, specie se usato al crepuscolo.
Da allora questa mosca ha giocato un ruolo abbastanza importante nelle mie uscite di pesca, tanto da diventare assieme alla Black Pennell uno dei miei artificiali preferiti per la pesca con la sommersa.
|
IL DRESSING

Cominciamo il processo di assemblaggio della Teal Blue & Silver inserendo l’amo nella ganascia del morsetto e fissando la seta di montaggio nera al suo gambo, con la quale leghiamo in prossimità della curva un ciuffetto di fibre prelevato da una piuma del collare del fagiano dorato. Gli apici di tali codine dovranno protrarsi dalla parte posteriore dell’amo per una lunghezza simile a quella della metà del gambo

Blocchiamo sopra il punto d’innesto delle codine uno spezzone di fine tinsel argentato ovale e uno di tinsel argentato piatto medio. Quindi prepariamo un sottile sottocorpo con stretti passaggi della seta nera lungo l’asse dell’amo, fermandola poco prima dell'occhiello

Realizziamo l’anellatura avvolgendo in ampi passaggi il tinsel argentato ovale lungo tutto il corpo dell'artificiale

Da un collo di gallo tinto di blu stacchiamo un’hackle che abbia le fibre poco più corte del gambo dell'amo e blocchiamola per la sua sezione apicale davanti alla parte anteriore del busto dell’insidia

Con le apposite mollette agganciamo l'hackle per il suo tratto basale e giriamola quattro o cinque volte attorno alla porzione di asse dell’uncino interposta tra l'occhiello e il corpo. Aiutandoci con i polpastrelli del dito indice e del pollice della mano sinistra spingiamo verso il basso le fibre dell'hackle, fermandole in tale posizione con qualche giro di seta di montaggio. A lavoro finito, le fibre della piuma di gallo dovranno essere disposte soltanto attorno alla metà inferiore del gambo e con gli apici protratti verso la punta dell’amo

Appaiamo schiena contro schiena i due segmenti di penne e leghiamoli subito dietro l’occhiello in modo che le punte di tali ali si estendano all'indietro fino a raggiungere un’ipotetica verticale passante per gli apici delle codine. Per facilitare l’operazione di innesto delle ali dobbiamo tenere saldamente le due sezioni di penna di alzavola tra le dita della mano sinistra, afferrandole quasi sul punto per il quale verranno legate, quindi creiamo due larghi loop di seta facendoli passare sopra le ali e sotto l’asse dell’amo che poi serriamo tirando verso l’alto il bobinatore

Eliminate le eccedenze dei segmenti di penne, formiamo la testina della nostra mosca con ripetuti giri del filato nero e infine saldiamola con una serie di nodini e un leggero strato di colla

La Teal Blue & Silver è pronta per la nostra prossima battuta di pesca, magari la utilizzeremo per insidiare le fario e le iridee dei nostri fiumi, o forse per pescare le trote di mare di qualche corso d’acqua del Nord Europa
MATERIALI PER IL DRESSING
AMO: a gambo dritto con asse pesante dal n.14 al n.8
SETA DI MONTAGGIO: nera
CODE: fibre di piuma del collare del fagiano dorato
CORPO: tinsel argentato piatto medio
ANELLATURA: fine tinsel argentato ovale
GOLA: hackle di collo di gallo tinto di blu
ALI: segmenti di fibre di penne di fianco di alzavola
SETA DI MONTAGGIO: nera
CODE: fibre di piuma del collare del fagiano dorato
CORPO: tinsel argentato piatto medio
ANELLATURA: fine tinsel argentato ovale
GOLA: hackle di collo di gallo tinto di blu
ALI: segmenti di fibre di penne di fianco di alzavola