|
|
Quando programmo una vacanza di pesca in una meta estera
che non conosco cerco di ottenere tutte le informazioni su alloggi, condizioni
dei fiumi e disponibilità di guide attraverso le pagine di qualche rivista,
oppure navigando su internet, valutando poi le migliori offerte in base alle
mie disponibilità finanziarie del momento e alla qualità del servizio offerto.
Talvolta, “surfando” nella rete, allaccio amicizie virtuali nell’immensa
comunità dei moschisti, che poi si diventano reali se ho l’opportunità di realizzare
il viaggio e di incontrare il nuovo compagno di pesca, magari che mi farà
conoscere qualche suo fiume. Il mio incontro con Tom Sutcliffe avvenne proprio
in questo modo, vale a dire dopo uno scambio di e.mail sulla mia possibilità di
visitare un fiume da trote vicino Città del Capo, dove avrei trascorso un
periodo di lavoro. Molti erano i tasti di letteratura alieutica che
descrivevano la bellezza dei fiumi sudafricani e l’abbondanza di trote nelle
loro acque e nei miei sogni c’era stata sempre la speranza di pescarvi.
La mattina che ci incontrammo, Tom aveva organizzato una battuta di pesca sul fiume First (conosciuto anche col nome di Eerste River), a circa un’ora da Città del Capo, e per l’occasione ci avrebbe accompagnato anche il suo amico Mark, eccellente pescatore e importatore locale di attrezzature per la pesca a mosca. Il fiume First è un piccolo corso d’acqua a carattere torrentizio, il cui tratto più interessante per la pesca è lungo circa otto chilometri e si snoda attraverso la valle Jonkershoek: un remoto e molto suggestivo angolo del Sudafrica privo di agglomerati urbani e circondato da imponenti montagne granitiche, coperte in prevalenza dal fynbos, l’endemica e straordinaria vegetazione del Capo. Per accedervi si arriva alla cittadina di Stellenbosch e da lì si prosegue lungo la strada che si immette nella Riserva Naturale di Jonkershoek.
La mattina che ci incontrammo, Tom aveva organizzato una battuta di pesca sul fiume First (conosciuto anche col nome di Eerste River), a circa un’ora da Città del Capo, e per l’occasione ci avrebbe accompagnato anche il suo amico Mark, eccellente pescatore e importatore locale di attrezzature per la pesca a mosca. Il fiume First è un piccolo corso d’acqua a carattere torrentizio, il cui tratto più interessante per la pesca è lungo circa otto chilometri e si snoda attraverso la valle Jonkershoek: un remoto e molto suggestivo angolo del Sudafrica privo di agglomerati urbani e circondato da imponenti montagne granitiche, coperte in prevalenza dal fynbos, l’endemica e straordinaria vegetazione del Capo. Per accedervi si arriva alla cittadina di Stellenbosch e da lì si prosegue lungo la strada che si immette nella Riserva Naturale di Jonkershoek.
|

Le trote che
popolano il fiume First sono iridee inselvatichite, discendenti dalle prime
rainbow trout immesse alla fine dell’Ottocento dai coloni europei che si
insediarono in questa meravigliosa terra: pesci dalla peculiare colorazione giallognola,
ben distribuiti nelle tante buchette e cascatelle tipiche dei tratti più a
monte del Eerste River. La stagione di pesca ai salmonidi ha inizio in
Sudafrica il 1 settembre e si conclude il 31 maggio e le trote che catturammo,
reduci dai rigori invernali, intesi soprattutto come minore disponibilità di
cibo, e non ancora completamente ristabilitesi dalle fatiche riproduttive,
sostenute prevalentemente nel mese di giugno, apparivano piuttosto slanciate ma
piene di energia e molto reattive nei confronti delle nostre mosche secche. Tom e Mark impiegavano una corta e leggera canna per lenza del 3 armata di un lungo finale, sulla punta del quale era legata una RAB su amo del 12: una curiosa ed efficace mosca sudafricana inventata da Tony Biggs nel 1966 e rielaborata da molti altri pescatori. Tom e Mark mi mostrarono le loro eleganti varianti col culetto rosso, caratterizzate dai lunghi peli di scoiattolo che emergevano a raggiera dal collarino in hackle di gallo. Il termine RAB sta per Red Arsed Bastard e mi domando quali elementi di ispirazione abbiano contribuito alla concezione un simile nome. Tale artificiale vuole assomigliare a un terrestrial, in particolare a una tipula, caduto accidentalmente o lanciato dal vento sulla superficie del fiume e, di fatto, la sua attrattiva si esalta quanto si fa di saltellare sul pelo dell’acqua, distendendo una breve lunghezza di coda e mantenendo la punta della canna ben alta, così che il vento catturi il finale e lo sventoli su e giù assieme alla mosca.
APPROCCIO A CORTO RAGGIO

Abituato a misurami con le timorose fario
delle “mie” acque, che raramente consentono al pescatore di avvicinarsi
troppo e che pretendono una approccio sulla medio/lunga distanza,
iniziai a attaccare le varie correntine del First distendendo almeno
sette o otto metri di coda di topo e concentrando la pesca soprattutto
sulla parte centrale e a monte delle varie buchette. Tom mi suggerì di
modificare la mia azione di pesca, riducendo di oltre metà la
lunghezza della lenza e prestando attenzione alla porzione più a valle
di ogni buca, mi disse anche di far saltellare o comunque navigare la
mosca nel tratto appena a monte di una cascatella. Impiegai qualche
minuto per adattarmi a quella che per me era una diversa e per certi
versi nuova strategia di pesca, e mi sorpresi quando cominciai a far
bollare le iridee pescando poco più avanti della punta della canna. Per
evitare di essere scorti, tutti noi procedevamo accucciati mentre
ispezionavamo i vari tratti del fiume, sfruttando ogni riparo offerto da
piante e rocce. Talvolta riuscivamo a scorgere le trote in caccia, ma
la maggior parte dei pesci, grazie alla loro livrea giallognola,
riusciva a mimetizzarsi perfettamente col fondale, la cui colorazione
era giallo/bruniccia. Anche l’acqua, pur pulita e trasparente, aveva
tinte paglierine, dovute alle pietre e al terreno ricco di humus su cui
scorreva. Tom mi fece presente che la sua qualità era davvero ottima e
che l’unico agente estraneo che poteva esservi disciolto era l’eventuale
pipì di qualche animale, non ultima quella dei leopardi che abitavano
nella valle. A conferma della sua purezza, il mio amico immerse la
borraccia nel fiume e ne bevve un sorso, invitandomi a seguire il suo
esempio.
Dopo aver sperimentato l’efficacia della RAB, decisi di proporre ai miei avversari africani qualche modello di mosca nostrana, optando per un artificiale molto galleggiante e ben visibile sull’acqua mossa. Fatta eccezione di alcuni chironomi, rari erano gli insetti in attività, probabilmente inibiti a sciamare dalla giornata nuvolosa e fresca. I miei amici mi dissero che in quel periodo, se ci fosse stato il cielo sereno ed un bel sole splendente, sarebbe stato possibile osservare diverse schiuse di effimere di medie dimensioni, quindi scelsi dalla mia scatola un piumoso esemplare di Iris col corpo in pelo di opossum applicato a dubbing.
Dopo aver sperimentato l’efficacia della RAB, decisi di proporre ai miei avversari africani qualche modello di mosca nostrana, optando per un artificiale molto galleggiante e ben visibile sull’acqua mossa. Fatta eccezione di alcuni chironomi, rari erano gli insetti in attività, probabilmente inibiti a sciamare dalla giornata nuvolosa e fresca. I miei amici mi dissero che in quel periodo, se ci fosse stato il cielo sereno ed un bel sole splendente, sarebbe stato possibile osservare diverse schiuse di effimere di medie dimensioni, quindi scelsi dalla mia scatola un piumoso esemplare di Iris col corpo in pelo di opossum applicato a dubbing.

Rispetto alla RAB, che richiede un tipo di presentazione simile a quella che si ottiene con la pesca a dapping (tecnica diffusa sui laghi irlandesi che si pratica con lunghe canne e specifiche code di topo sottili e leggere, le quali sono facilmente solevate in aria dal vento e fanno zompettare la mosca sull’acqua), la mia Opossum Iris si adattava meglio al mio stile di pesca, fatto di lanci veloci, loop mediamente stretti e torsioni del polso per curvare o ribaltare a monte il finale nella fase di posa. Da qui, pescando prima a dapping sulla parte inferiore delle buche e poi in modo tradizionale sulla porzione centrale e superiore di queste, cominciai ad allamare un buon numero di iridee: pesci non grandissimi, ma meravigliosi per forma e colorazione. Tom mi assicurò che su quel piccolo torrente capitava spesso di allamare trote di oltre mezzo chilo e talvolta anche più grosse. Di fatto, giunti su una buca un po’ più profonda e lunga delle altre, avvistammo una splendida iridea in caccia sotto il pelo dell’acqua, disposta un palmo a monte della cascatella sottostante. I miei amici mi invitarono ad effettuare i primi lanci, suggerendomi di posizionarmi appena sotto i grossi massi della cascatella, così da non entrare nel cono visivo del pesce. La trota stava “ninfando”, probabilmente su pupe di chironomo, ma quando la mosca cadde sopra la sua testa, non esitò a compiere una piroetta e a inseguire l’artificiale, senza manifestare alcuna indecisione di fronte a quel boccone che dragava vistosamente in superficie. Avevo commesso l’errore di estrarre troppa lenza dalla canna e questa era stata catturata dalla corrente della cascatella non appena si era posata sull’acqua. In pratica la mosca non rimase sufficientemente a lungo nella zona di bollata del salmonide e questo, pur volenteroso e comportandosi ingenuamente, tentò di azzannarla prima che fosse trascinata a ridosso dello scalino della cascatella, senza però riuscirci. La trota tornò al suo posto apparentemente tranquilla, ma quando le ripresentai la mosca, diede un poderoso colpo di coda e tutta fremente si andò a nascondere nella tana.
Concludemmo la giornata con altre catture, molte delle quali furono realizzate da Mark con una sorta di fantasiosa imitazione di chironomo adulto costruita la tecnica parachute e un ciuffetto di antron fucsia sul torace, attributo che la rendeva ben visibile sull’acqua vorticosa e increspata e che, presumibilmente, attraeva le trote.
Concludemmo la giornata con altre catture, molte delle quali furono realizzate da Mark con una sorta di fantasiosa imitazione di chironomo adulto costruita la tecnica parachute e un ciuffetto di antron fucsia sul torace, attributo che la rendeva ben visibile sull’acqua vorticosa e increspata e che, presumibilmente, attraeva le trote.
Il salmonidi sudafricani devono talvolta proteggersi dagli agguati degli uccelli predatori, come dimostrano i segni di una “beccata” lasciati su questa giovane trota
|
In alcuni ruscelli delle montagne attorno a Città del Capo è possibile trovare ancora il Galaxias zebratus: un pesciolino dalla livrea bruniccia e dalla silhouette cilindrica che rappresenta un tipico esempio di endemismo locale. Appartenente alla famiglia Galaxiidae, questo curioso “indigeno” è privo di squame ed è divenuto oggigiorno sempre più raro nei corsi d’acqua sudafricani, giacché mal tollera qualunque forma di alterazione del suo habitat: è sufficiente un leggero inquinamento per farlo morire. A ridurre la sua popolazione hanno contribuito anche le trote, voraci cacciatrici di questa golosa preda
Il fynbos comprende un grandissimo numero di piante peculiari della zona, le cui fioriture sono di straordinaria bellezza
|
La King protea (Protea cynaroides) è uno dei fiori emblematici della flora di Città del Capo
ALL'ALTRO CAPO DEL MONDO

La tecnica di pesca sulla breve distanza mostratami da Tom può rivelarsi utile in tantissime situazioni e anche su fiumi con caratteristiche diverse da quelle del torrente. Il fatto di far saltellare ripetutamente l’artificiale sull’acqua, sfruttando l’eventuale brezza del vento (l’ideale è quando soffia dalle nostre spalle), permette all’insidia di comportarsi esattamente come un fragile invertebrato, tipula, effimera o chironomo che sia, in difficoltà perché non riesce a riprendere quota e, disorientato, viene catapultato sulla superficie del fiume. Non solo, questa strategia di pesca si rivela eccellente al crepuscolo delle sere estive, quando numerosi tricotteri fuoriescono dai rifugi diurni per andare a picchiettare l’acqua e depositare in essa le proprie uova. In tale circostanza è preferibile legare al finale un modello di sedge carico di piumaggi e piuttosto leggero, ottimi sono quelli costruiti con il pelo di cervo o con densi collarini di cul de canard applicato a dubbing. Il finale più appropriato a questa tecnica deve essere abbastanza lungo, i migliori sono quelli tra i 12 e i 15 piedi, munito di un sottile terminale composto con un metro circa di 0,12 o 0,14.
Sebbene Mark e Tom avessero impiegato una canna sui sette piedi e mezzo, mi dissero che per rendere ancora più efficace il loro sistema di pesca bisognava ricorrere ad attrezzi decisamente più lunghi, anche di 10 piedi, così da tenere ben alta una consistente porzione della coda di topo e del finale e permettere al vento di catturarli più facilmente. Con simili canne, il lancio poteva essere realizzato con la tecnica del roll cast, che Tom mi indicò come la più appropriata per non far svolazzare la coda di topo sulla testa del pesce ed evitare di allarmarlo.
Ho constato che questo metodo di pesca è efficace anche dall’altro capo del mondo, vale a dire sui torrenti alpini e appenninici di casa nostra, soprattutto quelli con la superficie increspata, giacché in essi è più difficile che la trota scorga il pescatore che si avvicina: le fario rustiche o selvatiche dei fiumi italiani hanno solitamente un comportamento più timido e guardingo rispetto alle iridee sudafricane e mal tollerano la visione della figura umana sulle sponde.
Sebbene Mark e Tom avessero impiegato una canna sui sette piedi e mezzo, mi dissero che per rendere ancora più efficace il loro sistema di pesca bisognava ricorrere ad attrezzi decisamente più lunghi, anche di 10 piedi, così da tenere ben alta una consistente porzione della coda di topo e del finale e permettere al vento di catturarli più facilmente. Con simili canne, il lancio poteva essere realizzato con la tecnica del roll cast, che Tom mi indicò come la più appropriata per non far svolazzare la coda di topo sulla testa del pesce ed evitare di allarmarlo.
Ho constato che questo metodo di pesca è efficace anche dall’altro capo del mondo, vale a dire sui torrenti alpini e appenninici di casa nostra, soprattutto quelli con la superficie increspata, giacché in essi è più difficile che la trota scorga il pescatore che si avvicina: le fario rustiche o selvatiche dei fiumi italiani hanno solitamente un comportamento più timido e guardingo rispetto alle iridee sudafricane e mal tollerano la visione della figura umana sulle sponde.
UNA GRANDE PASSIONE PER LA PESCA

Tom Sutcliffe è uno dei pescatori a mosca più popolari del
Sudafrica. Dottore di professione, ha dedicato e continua a dedicare molto del
suo tempo libero allo sviluppo e alla diffusione della pesca con la coda di
topo nel suo paese e ha maturato esperienza tale renderlo uno delle massime
autorità nel settore alieutico sudafricano: attualmente ricopre la carica di
presidente della South African Flyfishers e della Natal Fly Dressers’ Society. Eccellente
costruttore di mosche artificiali, a lui si deve la nascita della DDD, una
curiosa imitazione di coleottero, e della Zak Nymph, Tom è autore di alcuni
libri, l’ultimo è un manuale sulla costruzione delle mosche intitolato The
Elements of Fly Tying, e fertile giornalista nel campo della pesca a mosca.
Negli anni si è guadagnato notorietà anche per la sua maestria di fotografo e
di pittore di scene di pesca: splendidi sono i suoi disegni di trote ritratte nel
loro ambiente naturale o mentre bollano sugli insetti, che realizza a penna o
ad acquarello. La sua grande passione per la canna da frusta lo ha spinto a
esplorare gli innumerevoli fiumi e torrenti che scorrono tra le montagne
attorno a Città del Capo, sviluppando personalissime strategie di pesca e dando
vita a una ricca selezione di artificiali adatti alla sua tecnica.
Da tempo Tom cura
un sito web nel quale raccoglie le pagine di diario di pesca, descrivendo le
giornate trascorse sui fiumi con foto molto suggestive, soprattutto quelle
scattate con la tecnica subacquea. Nel sito sono esposti anche i suoi disegni,
alcuni dei quali posti in vendita. Per visitarlo o per contattare Tom, potete
digitare www.tomsutcliffe.co.za.